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Giusi Bonomo

Der zoo, 2020

Tutte le cose hanno l’aspetto silenzioso e reticente delle persone ben educate. I fiori dicono apertamente: «Noi sappiamo, ma non parleremo »; ma che cosa loro sappiano non si sa! (Viktor Šklovskij, Zoo o lettere non d’amore, Lettera sedicesima, 1923) Šklovskij scrive che ci sono due atteggiamenti nei confronti dell’arte, uno di questi è considerarla come un mondo di cose che esistono autonomamente. Quando penso alla fotografia provo lo stesso sentimento di tenerezza e di resa totale per le cose che sono “date”, che non hanno bisogno di urlare per esistere. Chiamo mondo, esistenza qualsiasi cosa. Queste immagini nascono come appunti di qualcosa che si sottrae alla materia, momenti di uno sguardo distante dalla logica della narrazione. Le visioni qui presentate sembrano voler dire: il mondo e la natura non sono in posa per me, sono io ad essere in posa per loro. Sono immagini che possono definirsi “senza pretese”. Si nutrono di reticenza e di una primordialità dove osservatore e osservato si confondono e dove il senso arriva dopo. Come due rette che camminano parallelamente senza mai incontrarsi, la clandestinità che mi è affine nel percorrere la via della fotografia e la condizione di esilio, di emigrazione evocata da Šklovskij – costretto a parlare di cose d’amore senza nominarle – si incontrano e danno la misura dell’intera vicenda umana: un grande serraglio.

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2nd Edition